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sabato 1 novembre 2014

79 - Un team, un progetto, un obiettivo

Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive. (Fëdor Dostoevskij)

       

A seguito di una rilettura del post precedente, riflettendo, ho pensato che i contenuti sono incompleti. Abbiamo trattato i temi specifici che una o più menti devono padroneggiare per pianificare azioni in una logica di costi/benefici, ma questo non basta. 

Manca la parte del lavoro umano, in pratica, nel post 78,  non siamo entrati nel vivo di ciò che deve accadere tra il dire e il fare. Ritengo a questo punto doveroso affrontare quei fattori che concretamente materializzano sogni e progetti.

In questo post intendo trattare in che modo un buon progetto possa essere condiviso da tutti i membri di un team, ai fini del successo del loro intento. Ci concentreremo in particolare su quali ostacoli e quali antidoti potrebbero fermare o agevolare un disegno comune. 

Spesso in modo poco corretto, si parla di azienda, Stato, team, comunità, ecc, come se queste fossero entità astratte o organi altro fuori da noi, che esistono indipendentemente da tutto e con vita propria. In realtà, ogni termine che si utilizza quando si discute di ciò che accade da due persone e oltre,  pur avendo un nome "astratto" ha invece un significatobne preciso che coinvolge tutti.

Nel partecipare, osservare, descrivere, studiare o dirigere un gruppo, spesso nel farlo, si dimentica che questa entità è fatta di gente in carne e ossa. Trattasi di un'assemblamento di individui dove ognuno ha una propria cultura, visione, etica, paura, sogno ecc. che va condivisa con altri.

Un'azienda, o qualsiasi tipo di organizzazione o team, può avere il più bel progetto del mondo, un'idea perfetta pianificata a tavolino su tutto, ma se le persone che vi fanno parte, singolarmente hanno poco temperamento, bassa tendenza al lavoro in team, e/o danno segnali di incompetenza, tutto il tempo dedicato e il lavoro svolto riguardo quanto analizzato nel precedente post 78, serve ... a nulla!!

Tutti siamo responsabili del clima che si vive all'interno di un team; ma più di tutti, è il management di un progetto che ha una grande responsabilità affinché un'idea divenga davvero realtà. 

Uno tra i tanti aspetti interessanti che questi/e signori/e devono saper gestire, a parte le competenze specifiche e specialistiche proprie e altrui, riguarda la capacità di capire cosa di sottile regola un gruppo intento a raggiungere uno scopo comune e condiviso. 

In tanti gruppi, sui temi legati alle scienze comportamentali, c'è tanta superficialità e atteggiamento grossolano. I peggiori di tutti in assoluto, sono gli psicologi da rivista, da qualche corso, o da qualche libro che più o meno ha smosso in loro qualche emozione. 

Fare squadra è una scienza che richiede cultura, etica, esperienza, competenza, studio, sensibilità, capacità di ascolto, visione chiara del progetto e di dove si vuole andare, capacità relazionali e di negoziazione, e una buona dose di statistica ed controllo di gestione.

Il compito del management e di tutti i componenti, è quello di tentare di intercettare in tempo, in che modo pensieri, sentimenti e comportamenti delle singole persone, vengono influenzate dalla presenza reale o "immaginaria" che ognuno si fa di sé stesso/a in rapporto agli altri. 

Entrando a far parte di un team, sono tantissime le componenti che entrano in gioco. Fin dagli inizi, più è chiara la visone, la cultura e il fine del gruppo, tanto più facile è agevolare o meno l'ingresso di certe persone più che altre. 

Nella nostra visione olistica dei sistemi organizzativi, sappiamo che tutti siamo interdipendenti, per cui, se all'interno di un team si considerano i colleghi come clienti da soddisfare, tante cose cambiano in meglio e potrebbero aiutare a migliorare gli atteggiamenti e le relazioni.

Il conspcerto del cliente interno, da un punto di vista di cultura organizzativa:

1) Valorizza la giusta percezione del valore della qualità totale da curare in ogni fase del progetto;
2) Dà peso anche a chi gerarchicamente ha meno responsabilità di coordinamento di altre risorse
3) Obbliga tutti in tutte le fasi ad operare con attenzione in ogni processo lavorativo
4) Responsabilizza tutti i ruoli e orienta tutti all’obiettivo
5) Riduce possibili sviluppi dell’ego (da non sottovalutare) per chi ha responsabilità di coordinamento di altre risorse

Tuttavia sarebbe però riduttivo a chiudere tutto in cinque punti. Ritengo utile a questo punto parlare sul come e perché, le persone devono essere influenzate positivamente ai fini degli scopi del gruppo. 

Questo lavoro va fatto tenendo conto, sia delle attitudini di tutti senza sottovalutare carattere e personalità, sia delle esigenze organizzative, sia dalla interpretazione o costruzione che i membri si fanno dell’ambiente sociale in cui operano. 

In ogni circostanza, quando si parla di team, è fondamentale capire sempre come una persona percepisce e/o interpreta sé e il suo stesso ambiente. Non solo, non bisogna sottovalutare in che modo interagisce con altri nell'esercizio delle sue funzioni e nella relazione in genere. È importante comprenderlo, facendosi coinvolgere il meno possibile dalle emozioni negative, e agendo con il massimo equilibrio, in modo (cosa non facile se non allenati) più oggettivo possibile.

Considerando solo il ruolo da un punto di vista individuale e sconnesso dal contesto, concentrandosi di volta in volta solo sui singoli, si perde facilmente la visione d'insieme, e ciò più o meno lentamente nel tempo, porterà prima ad una perdita di identità di gruppo, e poi successivamente, un principio di disordine, in seguito difficile da governare. 

Quello che per noi deve essere il centro di riferimento dell'osservazione partecipata, è il come si deve interagire sull’influenza sociale all'interno della rete delle relazioni, e in che modo essa possa essere messa nelle condizioni favorevoli per dare motivazione e spirito di squadra ad ogni singola cellula vista come membro del gruppo. 

Ciò che conta in questa dinamica, sono il flusso delle comunicazioni e delle relazioni più che gli individui in quanto tale, anche se ciò non vuol dire però, dare poca attenzione ad ogni singolo e non far sentire la propria vicinanza e supporto in ogni circostanza di difficoltà 

Uno dei tanti errori che facilmente si commettono quando si parla di piccola o grande comunità, è che molto spesso nei rapporti interpersonali, si tende a sopravvalutare la componente della personalità individuale. Questo approccio se da un lato è utile per valorizzare e "misurare" i singoli valori della persona, dall'altro può diventare pericoloso. Vediamo il perché.

Sopravvalutare la componente della personalità, fa correre il rischio che tale approccio, prima o poi faccia sentire o troppo importante o troppo inadeguato un singolo, oppure ancor peggio, può far si che vi siano persone che vadano di "moda" in taluni momenti storici e non più in altri. Senza considerare poi, il fatto che il gruppo perda potenza e valore in quanto essere.

Nel nostro ambito, per non perdere la visione d'insieme, dobbiamo ragionare esattamente al contrario, concentrandosi sui risultati delle varie interrelazioni, e considerare come singolo organismo solo il team.
  
Lo scopo di questo approfondimento, è infatti quello di identificare le proprietà universali della natura umana che rendono ciascuno sensibile all’influenza sociale, indipendentemente dai ruoli, dalle funzioni, dalle classi o duale forme di potere, gerarchie e responsabilità interne alle strutture organizzative.  

Nella gestione e osservazione dei gruppi di persone, tendere ad interpretare il comportamento dei membri in termini di personalità, trascurando l’influenza sociale è quindi un un grande errore. Tale contesto è detto "errore fondamentale di attribuzione". Questo tipo di abbaglio tende di norma a sottostimare l’influenza sociale per tre motivi:

1) porta a creare instabilità nell'equilibrio della persona e favorisce un senso di ,falsa sicurezza. Creando questa causa, ognuno pensa di poter far più o meno bene il suo compito per essere a posto e giustificarsi continuamente quando qualcosa non va o non funziona;

2) Non fa crescere le persone in nessun ambito, orientandoli ad acquisire comportamenti subdoli e falsi con sé stessi e gli altri, inducendoli a concentrarsi sulle strategie della furbizia inutile, li porta alla ricerca del consenso dei propri superiori o persone ritenute influenti per qualche motivo, non valorizza nel giusto modo i più esperti.

3) Crea la tendenza a semplificare situazioni che sono complesse, e spesso impedisce di imparare ad osservare e comprendere a fondo il proprio comportamento, creando in tal modo un duplice problema: persona insoddisfatta e ruolo scoperto. I leader facilmente diventano coloro che tendono ad essere più furbi e non necessariamente più intelligenti.

I tre fattori appena enunciati come conseguenza negativa del porre attenzione sulle singole persone, non aiutano anche perché, ciò che conta più di ogni altra cosa per aiutare il gruppo a raggiungere il suo scopo natio, è quella di capire quali aspetti della situazione sociale possono sembrare anche poco importanti e non sottovalutare le sfumature.

Essere consapevoli dei punti di debolezza e di forza della cultura prevalente di gruppo, e poi gestirli con cura e lungimiranza, è compito prevalente del management, ma non sarebbe male che tutti ne fossero consapevoli in ogni discussione o riunione.

Un tempo, per il comportamentismo (corrente di psicologia) si poteva spiegare ogni comportamento umano in termini di analisi delle ricompense e punizioni. Tutto ciò senza aver nessun riguardo per concetti come cognizione, pensiero o sentimento. 

Tale approccio si è rivelato nel tempo troppo semplicistico, in quanto si è poi visto che non si può comprendere un comportamento limitandosi alle caratteristiche fisiche di una situazione, ma si deve capire come le persone “costruiscono” il mondo che le circonda nel tempo. 

La psicologia della gestalt in tal senso si è invece mostrata più idonea ed ha posto i fondamenti dello studio dell’interpretazione individuale nel contesto della situazione sociale. Questa teoria si concentrata fondamentalmente sul modo in cui gli oggetti si presentano alla persone.


Cosa ci dice la Gestalt 

Secondo gli scienziati della psicologia della Gestalt non è corretto dividere l'esperienza umana nelle sue infinite parti elementari studiandole singolarmente, ma occorre invece considerare il tutto come un fenomeno con delle leggi proprie che sono tra l'altro anche in continuo mutamento, e che non sono mai la somma dei singoli componenti.

In sintesi la Gestalt ci dice che "L'insieme è più della somma delle sue parti". In ogni team, organizzazione, comunità ecc. infatti le caratteristiche di una società non corrispondono mai a quelle degli individui che la costituiscono. Ognuno influenza il tutto e ne è a sua volta condizionato.

Nella vita, ciò che noi siamo e sentiamo fa parte del nostro comportamento, è questo è un tutt'uno che fa parte di una complessa relazione continua che governa le nostre intenzioni e i conseguenti pensieri. 

Per la Gestalt, per comprendere il mondo circostante, bisogna sapere che di norma la mente tende a identificare le forme secondo schemi che ci sembrano adatti, e che di solito sono scelti per imitazione, apprendimento o anche condivisione. 

È attraverso simili processi inconsapevoli che poi si organizzano percezione, pensiero e sensazione. Quanta importanza ha quindi in un'organizzazione l'esempio del management, il codice etico e l'attenzione alla cultura dello stare insieme e raggiungere in team un fine comune? È ora forse ancor più chiaro il perché sia fondamentale che ci sia una condivisione di valori trattati nei post 77 e 78?

Un altro spunto che ci viene da questa branca della psicologia: Facendo particolare riferimento alle percezioni visive, cosa fare considerando le sette regole che le guidano? Vediamo ora però quali sono queste regole principali di organizzazione dei dati percepiti:

1) la struttura di qualsivoglia schema o pensiero percepito è solo immancabilmente il più semplice;
2) le distanze in ogni loro significato condizionano ogni percezione delle cose e delle persone;
3) si identifica come giusto ciò che somiglia, si vede con curiosità o sospetto altri/o;
4) gli elementi significativi sono quelli percepite come appartenenti ad un insieme coerente e continuo;
5) sono ritenute importanti solo le cose che mutano con coerenza;
6) ogni cosa è interpretata da ognuno in modo diverso, in una foto c'è chi vede l'oggetto chi lo sfondo;
7) la pregnanza dei temi e degli esempi rafforzano percezione e agevolano comportamenti positivi.

Considerando fin quando qui riportato, ci obbliga anche a tener conto però, che le persone hanno bisogno di mantenere un’alta stima di sé, di vedersi come individui rispettabili, competenti e affidabili. Non è cosa da poco visti già i tanti punti da consuderare.

Questo va sempre tenuto conto e può servire in tantissime circostanze di incoraggiamento, o anche di risoluzione di problematiche conflittuali. È importante non sottovalutare tale aspetto, se non considerato in tempo, ciò talvolta porta a creare una visione distorta del mondo per potersi sentire bene con sé stessi, e capita che non di rado si possono perdere le migliori risorse.

Per monitorare al meglio quanto riportato nel precedente concetto, ecco perché la cultura, la condivisione degli obiettivi, i valori comuni, la vison e la mission di un'azienda, debbano essere un motivo in più per essere sempre tenuti presente con grande consapevolezza. Essi sono la linea guida per evitare pericolose false percezioni, in particolare nei momenti di successo o di dubbio di singoli o di gruppo in momenti di turbolenza.

Un’altra accortezza fondamentale da considerare, è quella che attiene il giustificare il comportamento precedente per essere coerenti, o talvolta per paura di cambiare. In determinate condizioni ciò spinge a commettere azioni che potrebbero apparire sorprendenti o paradossali che bisogna saper governare.

Molte persone per questo motivo, delle volte sono portate a preferire perfino le cose per cui si è sofferto, piuttosto che viverne di nuove che potrebbero invece indurre benessere, se solo fossero accettate imparando ad agire sempre nel qui e ora e non a vivere di passato.

Un nuovo software che semplifica il lavoro ad esempio, quanti problemi e quanti sabotaggi include da parte di ognuno in modo diverso? Lasciamo perdere i comportamenti acquisiti negativi che agiscono solo per abitudine e per mancanza di attenzione consapevole? 

Gli esseri umani hanno sorprendenti facoltà logiche e cognitive, che spesso però usano per costruirsi una propria visione del mondo non sempre adeguata. Lo studio del modo in cui gli esseri umani concepiscono il mondo è detto approccio alla cognizione sociale, e questo va valutato con cura.

Saper riconoscere quale cognizione sociale sia presente nei singoli membri del gruppo dà tantissime informazioni sullo stato motivazionale del team. Serve tanto per non far sentire solo/a chi attraversa momenti di stanca o di crisi personale in genere. Aiuta a far nascere fidelizzazione agli standard che si devono costantemente evolvere e migliorare nel tempo all'interno del team.

Il compito però non è sempre facile o immediato, perché spesso il problema che scaturisce da una cognizione sociale non molto positiva è la non conoscenza di tutti gli elementi necessari a giudicare una data situazione. 

Attenzione al gruppo e adeguata formazione (permanente e pianificata in modo da non agire casualmente o solo in casi eccezionali) possono aiutare tantissimo a far meglio condividere i punti essenziali di ogni team.

Ogni giorno prendiamo tantissime decisioni, e questo spesso anche se non disponiamo di dati sufficienti. È un problema da non sottovalutare. Inoltre, spesso le nostre aspettative sul mondo sociale vanno speso in conflitto con la percezione che abbiamo di esso, e a volte lo modificano. Frequenti colloqui e confronti su temi specifici aiutano a isolare pericolose idee o sogni individuali impossibili.

Colloqui e formazione, attenzione e responsabilità a volte non bastano. In una persona con poche informazioni, iniziano facilmente ad indurre cattivi solitari pensieri; in tal modo dubbi e insicurezza  portano a sentirsi spesso "profeti". Questo stato mentale è alla base del fenomeno conosciuto come “profezia che si autoadempie”. Di cosa si tratta? Non è una sciocchezza, vediamolo meglio.

In sociologia una profezia che si autoadempie, è una previsione che si realizza per il solo fatto di esserne convinti. Trattasi di un evento in rapporto circolare, secondo il quale, la predizione genera l'evento e l'evento verifica la predizione. 

I cosiddetti lo sapevo! Lo dicevo! Insomma le classiche frasi e profezie delle cornacchie, sono un fenomeno da considerare o da non sottovalutare.

Nel mercato finanziario, se esiste una convinzione diffusa che sia imminente un crollo, quanti investitori possono perdere fiducia e mettere in atto una serie di reazioni che possono causare realmente il crollo? 

In una campagna elettorale, un candidato che dichiari apertamente di non credere nella sua vittoria, può indurre apatia o rassegnazione nei suoi potenziali elettori, che poi si concretizzano in una diminuzione effettiva della sua base elettorale?

In psicologia, una profezia che si autoadempie si ha quando un individuo, convinto o timoroso del verificarsi di eventi futuri, altera il suo comportamento in un modo tale da finire per causare egli stesso tali eventi. In azienda e nell'attuazione di ogni strategia, sono cose da monitorare con grande attenzione.

A parte quanto fin qui riportato, esistono molti altri fattori che influenzano la nostra visione del mondo che qui non sono stati trattati: sono gli istinti biologici, paura, promessa di ricompense, ecc.  la motivazione, e il bisogno di controllo del proprio ambiente. Ma non è questo un trattato, pertanto nel prossimo post vediamo cosa mi andrà di trattare.



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